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Sezione: Saggi
Data di pubblicazione: 22-12-2025

Vantaggi e limiti della modellazione solida applicata all'archeologia

Autori

In questo contributo si intende riflettere sulla realizzazione e sull’uso di modelli digitali tridimensionali (3D) nella ricerca archeologica. Creare un modello 3D di un manufatto esistente (o in progetto) consente di gestire e combinare moltissime informazioni, tanto che il modello può essere considerato la controparte virtuale, il cosiddetto gemello digitale (digital twin), del sistema fisico rappresentato. In ambito archeologico, attraverso i gemelli digitali, è possibile l’interazione e lo studio di siti o manufatti e, ai fini della ricerca, verificare ipotesi sulle loro fasi storiche e architettoniche. Inoltre, un modello 3D può esser un valido strumento di divulgazione del patrimonio. Tali tematiche saranno sviscerate partendo da una serie di esperienze di ricostruzioni virtuali di siti di età medievale presenti nella città di Benevento, realtà urbana caratterizzata da molteplici trasformazioni e vicende insediative. Verranno illustrati il procedimento che ha portato all’attuazione di tali prodotti, i risultati ottenuti in termini di comprensione e analisi dei siti e le prospettive di valorizzazione e divulgazione dei dati scientifici, anche considerando i limiti e le criticità di tale tipo di ricerca.

1. Introduzione

L’uso di modelli virtuali è da tempo ampiamente adottato in numerosi ambiti disciplinari, spaziando dall’architettura all’ingegneria meccanica e aeronautica, fino ad includere attività di documentazione, valorizzazione e tutela del patrimonio storico-artistico. Nell’ambito delle scienze connesse con i beni culturali, le ricostruzioni virtuali sono oggi considerate uno strumento digitale standard, tanto come metodo accreditato per la visualizzazione e il trasferimento di conoscenze, quanto come mezzo di supporto alla ricerca scientifica1.

Realizzare il modello, in grafica tridimensionale (3D), di edifici o manufatti archeologici consente, infatti, oltre che una più diretta conoscenza, anche una migliore gestione degli stessi beni. Questo processo di scambio e gestione di informazioni tra l’oggetto (o il sistema) reale e la sua controparte virtuale fa sì che quest’ultima possa configurarsi come il gemello digitale (digital twin) del primo, per usare un termine mutuato dall’ambito ingegneristico. Tale concetto ha guadagnato un crescente interesse negli ultimi anni nell’ambito della ricerca scientifica: un gemello digitale include uno spazio reale, uno spazio virtuale e un flusso bidirezionale di dati tra di essi. In sostanza, la controparte virtuale di un oggetto o di un sistema fisico si basa sulla raccolta di dati attraverso una varietà di fonti come simulazioni, sensori e documentazione grafica2.

I gemelli digitali, quindi, sono diventati sempre più comuni nel campo del patrimonio culturale grazie alla loro capacità intrinseca di preservare informazioni fragili o esposte al rischio di perdita. Attraverso di essi è possibile l’interazione e lo studio di siti o manufatti archeologici danneggiati, perduti, o che potrebbero essere difficili o impossibili da visitare di persona a causa di qualche tipo di restrizione (oggetti protetti da vetrate o conservati nei depositi museali, oppure inaccessibili anche temporaneamente come nel caso della chiusura senza precedenti dei musei a causa della pandemia globale di Covid-19, o anche pericolosi da raggiungere perché localizzati in aree di conflitto ecc.). I gemelli digitali consentono anche il monitoraggio in tempo reale di grandezze fisiche (temperatura, umidità ecc.) rilevanti ai fini della tutela delle entità fisiche duplicate, se opportunamente equipaggiate di sensori3.

Dunque, i modelli tridimensionali sono un valido strumento per la comunità scientifica, ma anche per sperimentare forme di comunicazione diretta attraverso le quali è possibile innescare un processo culturale che coinvolga il pubblico dei non addetti ai lavori.

Sono sempre più diffuse, infatti, piattaforme informatiche basate sull’integrazione tra Building Information Modeling (BIM) e Geographic Information Systems (GIS) che generano i gemelli digitali spaziali (geospatial digital twin) dove sono raccolti e rappresentati dati paesaggistici e archeologici. Attraverso tali database aperti e condivisi, facilmente accessibili tramite computer, smartphone o terminali video dedicati, è possibile osservare, consultare e preservare il patrimonio culturale, superando le barriere fisiche con percorsi interattivi che consentono la visita virtuale di luoghi di interesse storico e artistico4.

In sintesi, un digital twin può essere visto come una raccolta di dati che evolve dinamicamente con l’aggiunta di nuove informazioni o con il cambiamento dell’oggetto di riferimento, un sistema che può essere sfruttato nei processi di apprendimento e protezione del patrimonio culturale5.

Di particolare interesse risultano i casi di ricostruzione 3D degli assetti originari di manufatti archeologici di rilevante significato storico. È questo un settore di ricerca altamente dinamico che richiede metodologie capaci di garantire un rigoroso approccio scientifico, partendo dai rilievi delle parti sopravvissute fino alla modellazione completa. Tale rigore è fondamentale, in quanto nei reperti archeologici si riscontra frequentemente che le porzioni preservate sono di gran lunga inferiori rispetto a quelle andate perdute. Di conseguenza, le informazioni raccolte direttamente sul campo risultano spesso insufficienti per una ricostruzione accurata.

Tale carenza di dati primari può essere compensata, integrando le informazioni con quelle derivanti dalle fonti documentarie e dalla comparazione con contesti analoghi e cronologicamente vicini. Nei casi più complessi, quando i manufatti appartengono a epoche remote con intricate vicende storiche, la ricostruzione virtuale deve necessariamente poggiare su una base dati solida e verificata.

Il modello 3D di un monumento o sito diventa così un mezzo per verificare ipotesi sulle sue fasi storiche e architettoniche. Partendo da tracce visibili, è possibile riempire virtualmente unità stratigrafiche negative, cioè superfici con evidenti segni di asportazione di materiale o di collasso, e proporre una ricostruzione che corrisponda alla lacuna. Viceversa, è anche possibile smontare le unità stratigrafiche che coprono o modificano strutture precedenti al fine di riesporre le forme originarie. Tali operazioni devono essere supportate da un’attenta analisi e da un’accurata mappatura delle stratigrafie del monumento o del sito. In tale senso il prodotto diventa una sintesi della ricerca, espressa visivamente, ed è molto più flessibile rispetto ai metodi di rappresentazione tradizionali, perché consente aggiornamenti o modifiche. Ad esempio, man mano che vengono trovate altre fonti o dati archeologici, è possibile adeguare il modello di conseguenza6.

2. Tre esperienze di modellazione 3D

In linea con l’approccio metodologico esposto nei precedenti paragrafi, sono stati ricostruiti virtualmente i complessi archeologici dell’area dell’Arco del Sacramento, del monastero di Sant’Ilario a Port’Aurea e della chiesa di Santa Sofia, situati nell’area urbana di Benevento. Questo ha consentito di approfondire i risultati delle ricerche e di verificare le ipotesi formulate riguardo alle fasi storico-archeologiche di tali siti.

Sebbene le ricostruzioni, realizzate in anni diversi, siano state elaborate con tecnologie man mano più performanti, in tutti i tre progetti la metodologia utilizzata nell’integrazione dei dati per le ricostruzioni si è basata su:

  • interpolazione, un processo simile al riempimento di vuoti, che consente di ricollegare due elementi distanti;
  • anastilosi, che consiste nella ricomposizione delle parti di un monumento che devono essere ricollocati nella loro posizione originale;
  • analogia, che consente di ricostruire un apparato coerente con l’oggetto studiato, in termini di linguaggio architettonico e stilistico, attraverso corrispondenze di similarità tra gli elementi attestati e documentati7.

L’area dell’arco del Sacramento (Fig. 1), posta vicino all’insula episcopalis, è stata oggetto di scavi archeologici negli anni 2004-20078. Dalle indagini sono state individuate tre macro-fasi storico-archeologiche:

Figura 1. Area dell’arco del Sacramento, ricostruzione 3D: (a) Fase 1, età romana; (b) Fase 2, età tardo antica-alto medievale; (c) Fase 3, età bassomedievale-moderna (S. Rapuano)

  • Fase 1. Nell’età imperiale l’area era occupata da un grande impianto termale di cui sono emersi i resti del calidarium, dei relativi impianti idraulici e di strutture pavimentali (Fig. 1a). Il complesso era posto nei pressi del foro, il cui ingresso era monumentalizzato dal cosiddetto arco del Sacramento (definito così in età moderna dal nome della via che lo attraversava).
  • Fase 2. Durante gli scavi è stata messa in luce parte della cinta urbica del IV secolo, consistente in un tratto di muro costruito tra l’arco del Sacramento, trasformato in porta urbica e munito poi nel V secolo da una torre pentagonale, ed un secondo arco, che al momento dello scavo era inglobato in un edificio medievale (Fig. 1b)
  • Fase 3. In età moderna l’insula era occupata dall’Ospedale delle donne di San Gaetano, che fu dismesso negli anni venti del Novecento e poi distrutto nel 1943 dai bombardamenti alleati. A lungo ricoperta dalle macerie, l’area subì notevoli sbancamenti negli anni ’60 per la realizzazione di un palazzo la cui costruzione rimase interrotta (Fig. 1c).

Il lavoro di modellazione ha aiutato a fondere le molte tracce archeologiche e chiarire la complessità delle stratigrafie danneggiate anche dagli sbancamenti moderni, attraverso l’integrazione con le numerose fonti iconografiche disponibili e i rilievi di scavo eseguiti principalmente con una stazione totale, una Camera semi-metrica Rollei d 309 e il software PhotoMetric. La modellazione 3D è stata realizzata con Autodesk Autocad 200710 e la texturizzazione con Google SketchUp 611, versione allora freeware.

Nei modelli elaborati al tempo si nota una certa rigidità delle forme e manca la resa fotorealistica, sebbene risultino verosimili grazie all’uso di texture ricavate dai rilievi fotogrammetrici o, per le superfici totalmente ricostruite, dalla biblioteca grafica del programma adattandone le dimensioni a quelle degli edifici.

La chiesa di Sant’Ilario è situata in un’area cruciale della città di Benevento, in prossimità dell’arco di Traiano, riutilizzato come porta urbica dal IV secolo d.C. e definito, per questo, Port’Aurea. Fu edificata tra la fine del VII e la prima metà dell’VIII secolo e poco più tardi ad essa fu annesso un monastero benedettino. Negli anni 2000-2002 l’area venne indagata con scavi archeologici e furono riportati, sia pure non per intero, i resti del cenobio benedettino di cui si era persa memoria12. In base ai rilievi fotogrammetrici e ai disegni assonometrici CAD allegati alla documentazione di scavo, durante la nuova attività di ricerca e analisi dei dati archeologici, condotta dal 201813, è stato sviluppato un modello tridimensionale adoperando i software commerciali SketchUp Pro 202114 e OneRay-RT15, con lo scopo di comprendere, visualizzandolo, l’ultimo assetto del monastero (Fig. 2). Nonostante i limiti di tale modello, relativi ancora alla geometria schematica degli elevati ricostruiti e alle texture ottenute da rilievi fotogrammetrici delle poche murature superstiti, la ricostruzione 3D ha consentito di comprendere i volumi del monastero nel periodo della sua massima espansione.

Figura 2. Ricostruzione 3D del monastero Di Sant’Ilario a Port’Aurea (S. Rapuano)

Il progetto di virtualizzazione della chiesa di Santa Sofia di Benevento, gemmato da un filone di studi pluriennale, è stato avviato nel gennaio 2020, al fine di verificare una serie di ipotesi archeologiche. A partire dalla raccolta della documentazione storica-archeologica e dal rilievo e dalla modellazione 3D della chiesa nella sua configurazione attuale16, sono stati ricostruiti i principali assetti planimetrici che l’edificio ha assunto nel tempo a causa di numerosi restauri e rimaneggiamenti 17 (Fig. 3-5).

Figura 3. I principali eventi noti della storia di Santa Sofia e indicazioni delle fasi storico-archeologiche (Babilio – Rapuano 2025b, fig. 2)

Figura 4. Ricostruzione 3D della chiesa di Santa Sofia, assetto attuale (E. Babilio, S. Rapuano)

Figura 5. Uno schema della virtualizzazione della terza fase storica-archeologica di Santa Sofia, a partire dalla raccolta dei dati: (a) disegni tecnici; (b) dettagli tratti da mappe storiche della città di Benevento; (c) dipinti; (d) informazioni provenienti da scavi archeologici; (e) il modello solido; texture di (f) intonaco della chiesa e (g) superficie del campanile; (h) modello texturizzato; (i) modello renderizzato (Babilio – Rapuano 2024, fig. 2)

Fu fondata nel 758 d.C. da Arechi II, duca di Benevento, e dedicata alla Divina Sapienza di Cristo, ispirandosi all’omonima chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli (fase 1). In età romanica fu aggiunto un campanile e realizzato il portale con lunetta (fase 2). Quest’ultimo è tutt’oggi visibile nella facciata. Gravemente danneggiata dai terremoti del 1688 e del 1702 (che provocarono anche il crollo del campanile romanico), fu restaurata dall’arcivescovo Vincenzo Maria Orsini, che trasformò la pianta stellata originale in una forma circolare e aggiunse una cappella centrale rettangolare, demolendo l’abside centrale18 (fase 3). Ulteriori interventi nel XIX secolo portarono alla costruzione di due cappelle laterali e alla demolizione del muro che chiudeva lo spazio antistante la chiesa (fase 4). Tra il 1951 e il 1957, il Soprintendente ai Monumenti, Antonino Rusconi, ripristinò la pianta stellata originale, restaurò le absidi laterali e ricostruì quella centrale preservando la facciata barocca19. Dal 2011, la chiesa è parte del sito UNESCO “I Longobardi in Italia: i luoghi del potere” (fase 5).

Per lo studio sono stati utilizzati: il laser scanner Leica BLK36020 e Cyclone Register per il rilievo e la gestione della nuvola di punti; Autodesk AutoCAD 2020 per la modellazione solida; SketchUp per realizzazione di texture da foto e per la loro applicazione al modello solido; OneRay-RT per il rendering fotorealistico.

Inoltre, per la virtualizzazione del complesso sistema di volte, è stato necessario adottare uno specifico workflow:

  • estrazione delle volte dalla nuvola di punti con 3DF Zephyr Free;
  • esportazione delle coordinate in un file ASCII;
  • realizzazione di uno script (notebook) ad hoc in ambiente Mathematica®21 per la scrittura simbolica di funzioni polinomiali per approssimare le superfici delle volte;
  • esportazione delle superfici in un file DXF e integrazione nel modello 3D in AutoCAD.

In aggiunta, per rendere i risultati dello studio accessibili anche ad un pubblico di non esperti e favorire la conoscenza e la valorizzazione del sito, è stato realizzato con il software Animotica un filmato per la piattaforma YouTube22 (Fig. 6).

Figura 6. Workflow per la virtualizzazione della chiesa di Santa Sofia (E. Babilio, S. Rapuano)

3. Nuovi approcci informatici nella ricostruzione archeologica

Con la breve illustrazione dei modelli appena esposti si è inteso riassumere modalità di esecuzione e procedimenti specifici basati sulle esperienze, sulle finalità prefisse e sulla disponibilità di risorse del team di ricerca, che dunque hanno una valenza particolare. Al contrario, per quanto riguarda le tecnologie impiegate, esse corrispondono a quelle più comunemente adottate in ambito archeologico. A sostegno di questa osservazione appare utile e interessante consultare i dati pubblicati a seguito di un sondaggio internazionale, realizzato tra gennaio e marzo 2020 dalla European Association of Archaeologists (EAA) Community for the use and application of 3D technologies in Archaeology (3D-Archaeology). L’obiettivo perseguito da tale operazione è stato quello di acquisire una conoscenza più ampia dell’applicazione delle tecnologie 3D nella pratica archeologica e nella gestione del patrimonio culturale, ma soprattutto di riflettere sui possibili sviluppi e implementazioni.

Il sondaggio ha permesso di fornire una panoramica sia dei software e dei formati di dati utilizzati, sia delle attuali pratiche di archiviazione dei dati grezzi e/o generati.

Il programma Metashape di Agisoft LLC è risultato di gran lunga il più utilizzato, seguito da ReCap Pro di Autodesk e RealityCapture di Capturing Reality. Meshroom di AliceVision è stato l’unico software open source menzionato tra quelli più usati.

Le applicazioni utilizzate possono essere, per la maggior parte, classificate come “soluzioni complete”, che includono anche strumenti per la georeferenziazione.

Dal sondaggio è emerso che i formati di dati per l’input più usati sono JPEG, TIFF e RAW e per l’output sono OBJ, PLY e GeoTIFF.

Inoltre, è risultato che coloro che operano in questo settore sono liberi professionisti, istituti di ricerca e autorità preposte alla tutela del patrimonio.

Il sondaggio ha anche evidenziato che è necessario monitorare con maggiore attenzione tali prodotti e migliorarne la standardizzazione per favorire la comunicazione, con l’auspicio di un coinvolgimento maggiore di archeologi e di altri professionisti del patrimonio culturale e di settori correlati23.

Proprio sulla standardizzazione e la trasparenza dei prodotti 3D la comunità scientifica si sta interrogando. La diffusione dei modelli ottenuti deve essere accompagnata da informazioni dettagliate sull’oggetto originale e sulle fasi di conversione in risorsa digitale. È fondamentale registrare dati come calibrazione, tolleranza, errore strumentale e condizioni fisiche al momento dell’acquisizione, oltre alle fasi di post-elaborazione. Questi dettagli garantiscono trasparenza e permettono una corretta interpretazione e riutilizzo del modello. Diversi progetti europei, tra i quali si citano CARARE, 3D-ICONS, 3D-COFORM, ARIADNE, PARTHENOS, hanno sviluppato sistemi di metadati specifici per il 3D, che documentano tecniche e modalità di acquisizione, migliorando la condivisione e la conservazione a lungo termine delle risorse digitali. Dunque, associare ai modelli digitali informazioni complete è un’attività necessaria per evitare che la semplificazione delle tecniche di acquisizione porti a repliche prive di valore scientifico24. Seguendo tali criteri, la realizzazione dei modelli 3D diacronici dei siti beneventani, è stata condotta mediante la consultazione di fonti attendibili, la rappresentazione grafica dei dati archeologici, la comunicazione visiva delle ipotesi ricostruttive del sito e la disseminazione dei procedimenti e dei metadati attraverso pubblicazioni scientifiche, ossia gli stessi principi che sottendono a progetti di più ampio rilievo, come, ad esempio, l’Extended Matrix, un progetto open science che consente di creare, visualizzare, esplorare e condividere online modelli 3D utilizzando piattaforme gratuite e open source25. Sviluppato e testato dal laboratorio Virtual Heritage dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale del Consiglio nazionale delle ricerche (ISPC CNR), si ispira al metodo stratigrafico della Matrix di Harris. Si basa sulla metodologia specifica dell’HBIM (Heritage Building Information Model, evoluzione della già citata BIM) applicata alla ricostruzione e analisi dei contesti archeologici post-scavo e documentazione. Questo approccio permette di integrare e coordinare vari tipi di dati: dai reperti archeologici ai rilievi, dalle evidenze stratigrafiche alle fonti bibliografiche, sino ai confronti. Tutto ciò serve a formulare ipotesi ricostruttive che possano essere sostenute da livelli di affidabilità differenziati. Collegato a Extended Matrix è il framework open source ATON, sviluppato sempre dal laboratorio Virtual Heritage del ISPC CNR, rappresenta una soluzione avanzata per la progettazione di applicazioni web immersive e collaborative nel settore del patrimonio culturale. Questo strumento è concepito per facilitare l’accesso a contenuti 3D interattivi attraverso molteplici dispositivi, sfruttando appieno le tecnologie web e i recenti standard del settore. Grazie alla sua architettura, consente di usufruire di applicazioni tridimensionali interattive direttamente tramite un comune browser, eliminando così la necessità di installazioni da parte dell’utente finale26.

Un ulteriore sviluppo nei progetti di archeologia virtuale è l’applicazione dell’Artificial Intelligence (AI). Può essere usata per analisi statistiche complesse su grandi volumi di dati, per lo sviluppo di script GIS, per l’identificazione automatica di reperti archeologici, sino alla creazione di ricostruzioni grafiche realistiche di siti e manufatti. Un esempio di progetto basato su sistema integrato di AI, sensoristica archeometrica e robotica è AUTOMated enriched digitisation of Archaeological liThics and cerAmics (AUTOMATA), sviluppato dall’Università di Pisa, per facilitare lo studio dei reperti. Consiste in un braccio robotico che preleva i frammenti ceramici, li analizza con sensori per il riconoscimento delle proprietà chimico-fisiche e infine genera un modello 3D completo di tutti dati. Il lavoro di documentazione di AUTOMATA è destinato ad essere riversato nel cloud dedicato alla condivisione e all’utilizzo innovativo del patrimonio culturale che l’Unione Europea sta costruendo (ECCCH: European Collaborative Cloud for Cultural Heritage - ECHOES project: European Cloud for Heritage OpEn Science)27.

4. Considerazioni su alcuni limiti della modellazione solida applicata all’archeologia

Come accennato nei paragrafi precedenti, esiste una grande varietà di soluzioni per la gestione dei dati di rilievo tridimensionale e la modellazione solida e la scelta degli strumenti può dipendere da molti fattori. Tuttavia, quasi mai un unico strumento è sufficiente. Anzi, generalmente, diviene obbligatorio integrarne diversi. Questo aspetto rappresenta ancora un limite dell’attività di realizzazione di modelli 3D e gemelli virtuali, per la insita necessità di acquisire know-how specifici. Un’ulteriore questione di rilevante interesse è certamente legata ai costi, spesso elevati che la tecnologia utilizzata, sia hardware che software, presenta, sebbene questa voce sia soggetta a variazione dovute al mercato. Per quanto riguarda i costi del software, quelli commerciali tendono a restare generalmente invariati da una versione all’altra di uno specifico programma, anche se formule di abbonamento possono consentire qualche abbattimento. In ogni caso, l’esistenza di software freeware o addirittura open source può consentire addirittura l’azzeramento dei costi per il software, sebbene questo tipo di soluzioni in molti casi presenti una curva di apprendimento più ripida delle soluzioni commerciali. Infine, da un punto di vista puramente scientifico, permane la necessità di protocolli codificati, chiari e sempre verificabili che garantiscano che un prodotto digitale, in particolare per la ricerca archeologica, abbia caratteristiche di affidabilità e riproducibilità, al pari di ogni altra tipologia di esperimento scientifico.

5. Note conclusive

L’impiego dei modelli digitali 3D ha profondamente cambiato il panorama della ricerca archeologica, portando a una valorizzazione senza precedenti del patrimonio culturale. Attraverso esempi concreti, come la virtualizzazione dei siti medievali di Benevento, è emerso come queste tecnologie non solo facilitino l’interazione con i beni culturali ma siano anche strumenti chiave per la verifica di ipotesi storiche e architettoniche. Tuttavia, è essenziale riconoscere i limiti intrinseci a queste pratiche, quali la necessità di competenze specializzate e le barriere economiche legate all’uso degli strumenti. L’adozione di protocolli chiari e standardizzati risulta cruciale per garantire l’affidabilità e la validità scientifica dei modelli 3D.

L’integrazione di tecnologie avanzate e il miglioramento della condivisione delle risorse digitali offriranno nuove opportunità, ma richiederanno anche un impegno collaborativo.

Attualmente, il processo che consente di duplicare un bene fisico d’interesse archeologico è difficilmente automatizzabile nella sua interezza.

In una prospettiva futura ci si può attendere che questo limite operativo sia superato con un utilizzo sempre più massiccio di algoritmi di intelligenza artificiale. Questi, grazie ad automatizzazione e standardizzazione, se da un lato consentiranno la diminuzione della mole di lavoro richiesto, dall’altro presenteranno il concreto rischio di perdere il controllo sul flusso dei dati. Dunque, quanto maggiore sarà il ricorso ad algoritmi, tanto più specializzato dovrà essere l’approccio critico-disciplinare al fine di garantire affidabilità e accuratezza di processi logici e riproducibilità dei risultati. In quest’ottica, il contributo dell’archeologo rimane imprescindibile.

L’ultima consultazione dei siti web è avvenuta nel mese di dicembre 2025.

Riferimenti Bibliografici

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Note

  1. Pfarr-Harfst — Grellert 2016, p. 39–49.
  2. Liu — Lu — Chen — Yan 2024; Niccolucci — Felicetti 2024, p. 121.
  3. Hutson — Weber — Russo 2023.
  4. Pasini 2004; Parry 2005.
  5. Babilio — Rapuano 2024.
  6. Ibidem.
  7. Babilio — Rapuano 2023; Gabellone 2019.
  8. Le indagini nell’area dell’arco del Sacramento, anni 2004-2007, sono state condotte dall’equipe di archeologi medievisti del Dipartimento di Lettere e Beni Culturali (DiLBeC) dell’Università della Campania Vanvitelli, sotto la direzione scientifica di Marcello Rotili, in base a un accordo fra il Comune di Benevento e la Soprintendenza Archeologica di Salerno-Avellino-Benevento, nell’ambito di un progetto di riqualificazione urbana (Rotili 2006, p. 71-75; Rotili — Rapuano — Cataldo 2010, p. 309-328; Rapuano — Busino — Rotili 2016, p. 63-80).
  9. https://www.rollei.de/.
  10. https://www.autodesk.com/.
  11. Cfr. <https://archive.org/details/google-sketch-up-6_0_1099>.
  12. Le indagini sono state realizzate dall’allora Soprintendenza Archeologica di Salerno, Avellino e Benevento, in collaborazione con la Provincia e il Comune di Benevento, sotto la direzione scientifica di Giuseppina Bisogno.
  13. Grazie all’autorizzazione concessa dall’attuale Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Caserta e Benevento a Marcello Rotili e alla sua equipe, è stato condotto uno studio sistematico sui dati di scavo, rimasti a lungo inediti e privi di un adeguato approfondimento, e sui numerosi reperti, di cui sono stati realizzati schedatura e rilievi (Rapuano 2022).
  14. https://www.sketchup.com/.
  15. https://www.analistgroup.com/it/software-rendering-3D.
  16. La chiesa, a pianta centrale, presenta un muro d’ambito parzialmente a zig-zag e, nella zona del presbiterio, tre absidi circolari contigue. Lo spazio interno, scandito da otto colonne, composte da spolia di età romana, e otto pilastri a base quadrata, è coperto da un sistema di volte di varia forma e una cupola al centro.
  17. Babilio — Rapuano 2023; 2024; 2025a-b.
  18. Rotili 2017; Rusconi 1967.
  19. Rotili — Pace 2021, p. 81-82.
  20. Leica Geosystems AG 2017.
  21. Wolfram Research, Inc.: Mathematica, Version 8.0, champaign, IL (2010).
  22. https://www.youtube.com/watch?v=KmpUnn2QxcE&t=27s.
  23. Opgenhaffen — Jeffra — Hilditch 2024, p. 131-150.
  24. Bosco — D’Andrea 2019.
  25. Demetrescu — Ferdani 2021.
  26. Fanini — Ferdani — Demetrescu — Berto — d’Annibale 2021.
  27. <https://old.unipi.it/index.php/news/item/28902-automata-l-archeologia-diventa-robotica-e-smart>; <https://www.cfs.unipi.it/progetti/automata-automated-enriched-digitisation-of-archaeological-lithics-and-ceramics/>.

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Autori/Autrici

Silvana Rapuano - Università della Campania Luigi Vanvitelli. Dipartimento di Lettere e Beni Culturali https://orcid.org/0000-0002-7482-6804

Come citare

Rapuano, S. (2025). Vantaggi e limiti della modellazione solida applicata all’archeologia. DigItalia, 20(2), 61–77. https://doi.org/10.36181/digitalia-00142
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Silvana Rapuano - Università della Campania Luigi Vanvitelli. Dipartimento di Lettere e Beni Culturali https://orcid.org/0000-0002-7482-6804

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Rapuano, S. (2025). Vantaggi e limiti della modellazione solida applicata all’archeologia. DigItalia, 20(2), 61–77. https://doi.org/10.36181/digitalia-00142
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